COMUNICATO STAMPA del Comitato Regionale StopOPG Lombardia
1500 persone, con diagnosi psichiatrica, in tutta Italia, donne e uomini nostri concittadini, autori di reato, sono oggi internate negli Ospedali psichiatrici giudiziari (OPG). Ciò consente a molti Dipartimenti di salute mentale (Dsm) e ai loro riferimenti sociali e comunitari di dimenticarne l’esistenza o addirittura di pensare che, nel frattempo, possano essere adeguatamente accuditi, curati, comunque custoditi: tanto per il loro ritorno non c’è mai fretta. Tutto questo è consentito dai Codici in vigore per cui una persona con diagnosi psichiatrica autore di reato è condannata non per il reato che ha compiuto (infatti non viene processata), ma per quello che è: folle e socialmente pericolosa. Ai Codici vanno aggiunte le culture scientifiche di quella parte di psichiatria forense che continua a dare una lettura semplificata della “capacità di intendere e di volere”, della”pericolosità sociale”, e a ignorare le acquisizioni dell’assistenza psichiatrica “civile” che ha mostrato la nocività del regime manicomiale e l’efficacia dell’intervento centrato sulla persona e le sue relazioni perché consente grandi possibilità di ripresa e di emancipazione.
Ora che il Parlamento italiano ha approvato la norma che prevede la chiusura dei 6 OPG italiani in funzione (Aversa, Barcellona Pozzo di Gotto, Castiglione delle Stiviere, Montelupo Fiorentino, Napoli, Reggio Emilia) e ha stabilito nel 31 marzo 2013 la data entro cui ciascuna Regione dovrà accogliere questi propri pazienti internati in strutture residenziali non-ospedaliere di piccole dimensioni. A questo punto Regione Lombardia non potrà sottrarsi e dovrà ospitare nei Dipartimenti di salute mentale questi suoi cittadini che hanno perso la visibilità.
Quando si parla di Dsm, di servizi di salute mentale, ci si riferisce non solo ai professionisti che vi operano, ma anche alle famiglie, alle loro associazioni, alle comunità locali con le loro risorse, reti di relazione, rappresentanze. Perché la gran parte delle persone attualmente internate negli OPG è nota ai servizi di salute mentale dei luoghi in cui abitavano. La “psichiatria di comunità” è storicamente critica e alternativa rispetto a quella manicomiale.
Il passaggio della Sanità penitenziaria alle Regioni è stato e resta non facile: da un lato le molte diffidenze dell’Amministrazione penitenziaria, dall’altro lo scarso impegno di gran parte delle Regioni, restie al nuovo onere di integrare l’assistenza sanitaria ai detenuti e agli internati nella rete dei servizi territoriali. Per più di un secolo l’OPG è venuto costituendo un groviglio di problemi, di interazioni fra Amministrazione penitenziaria, psichiatria forense, Avvocatura, servizi di salute mentale, Regioni – da poco titolari della Sanità privata –, studiosi del diritto. Occorrono assunzioni di responsabilità delle istituzioni, superare le diffidenze e le resistenze per affrontare in modo efficace la questione, e su questi obiettivi è impegnato il Comitato Stopopg della Lombardia.
Per chiudere gli OPG ci si deve misurare con abitudini, prassi, convenienze, stereotipi per criticarle, superarle e innovare profondamente le relazioni fra apparati della giustizia e professioni psichiatriche. Per dare un nome e un volto alle persone oggi internate e a quelle che saranno ancora internate finché non cambieranno i Codici, serve una forte, diffusa tensione etica.
Milano, 28 marzo 2012