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Chiudiamo l’OPG di Reggio Emilia

Iniziativa pubblica al Municipio di Reggio Emilia il 16 luglio 2011.

 

Come è possibile fare a meno degli OPGA

di Luigi Benevelli

La scelta di chiudere gli ospedali psichiatrici giudiziari (opg) rappresenta oggi una sfida importante per il Parlamento e l’Amministrazione penitenziaria e la sfida più rilevante e inquietante per la psichiatria di comunità italiana e per tutto il servizio sanitario nazionale; dal suo esito, vale a dire se si riuscirà a realizzarla e come si riuscirà a realizzarla, dipenderanno i possibili nuovi assetti del Codice penale, la civiltà del sistema penitenziario, la qualità dell’assistenza psichiatrica pubblica nel nostro paese: ne sono segnale le affermazioni del presidente del Senato Schifani e le cautele del sen. Marino nell’occasione dell’incontro del 9 giugno scorso a Roma. Per una discussione utile bisogna decidere se e come modificare il Codice penale a proposito della misura di sicurezza e dell’imputabilità dei pazienti autori di reato (la sentenza n. 9163, 8 marzo 2005 delle Sezioni Penali riunite della Corte di Cassazione ha mostrato quali e quanti disastri provoca il mantenimento del regime della non-imputabilità e la sua estensione). Ma bisogna pensare a quali indicazioni dare circa i luoghi e i titolari della cura.
Da più di una decina d’anni la psichiatria di comunità italiana sta sperimentando, unica al mondo (solo recentemente si è avviata sulla strada da noi aperta l’Unione Argentina) un’assistenza psichiatrica senza manicomi che, pur fra molte difficoltà e non senza gravi problemi in molti luoghi, sta tenendo. Tutto questo è stato reso possibile dal fatto che la riforma del 1978 ha come luogo della cura Il “territorio”, la comunità civile di riferimento del paziente, con i suoi servizi e le sue opportunità; un approccio al paziente con disturbo mentale centrato sulla ricerca del suo consenso e riconoscendo lo stesso protagonista della propria cura e del proprio destino; un approccio che contesta la presunzione di pericolosità sociale del paziente psichiatrico e che declina i comportamenti problematici sotto il segno dell’aggressività. Da qui, per fare un esempio, nasce negli Spdc a porte aperte l’adozione delle tecniche di de-escalation.
Negli opg sono internati cittadini con disturbo mentale ritenuti socialmente pericolosi per aver compiuto reati. Negli opg i codici di interpretazione derivati dalla criminologia e dalla psichiatria forense positivistiche continuano a prevalere su quelli della psichiatra di comunità “civile” e del movimento per la salute mentale. L’osservazione e l’esperienza mostrano che le dimissioni dagli opg non sono disposte dai medici, ma dai magistrati, che dagli opg è difficile dimettere soprattutto perché i cittadini internati sono caricati di un enorme pregiudizio, spesso condiviso da coloro che li dovrebbero aiutare a curarsi e riabilitarsi come ci dicono le proroghe di centinaia di internamenti anche dopo che, in sede di riesame della pericolosità, le persone sono state riconosciute (dal magistrato) non più socialmente pericolose perché non ci sarebbe chi si occupa e risponde di loro fuori dall’opg. Lo dimostra il fatto che quando si riesce a dimettere, la destinazione di gran lunga prevalente è quella di residenze ad alta protezione, dove il controllo sociale (e farmacologico) è molto forte.
Gli opg, quando riescono ad essere stabilimenti sanitari come nel caso di quello di Castiglione delle Stiviere, sono niente altro che manicomi, per di più sottoposti ai regolamenti degli Istituti di 2 prevenzione e pena, impegnati nella gestione della vita quotidiana di persone con disturbi mentali per anni. Escluso quello di Castglione d/S, in tutti gli altri il lavoro di assistenza è affidato ad agenti della Polizia penitenziaria; a Castiglione d/S l’assistenza è condotta da personale sanitario che però è caricato da compiti di custodia delle persone internate. Queste semplici osservazioni ci fanno capire quanto le norme, gli istituti, le pratiche che regolano la gestione (più che la cura) dei pazienti rei folli stridano, fino ad esserne incompatibili, con le norme, le acquisizioni, le finalità e le pratiche dell’assistenza psichiatrica pubblica italiana: da più di trent’anni un cittadino con disturbi mentali ha diritto a non subire limitazioni della libertà
personale, se non nelle situazioni indicate dalla legge per il trattamento sanitario obbligatorio.
Bisogna garantire che un cittadino con disturbi mentali che abbia compiuto un reato abbia diritto a (e debba) essere sanzionato in relazione al reato e non in relazione alla patologia di cui è affetto.
Inoltre, alla chiusura degli opg consegue che, se si escludono le pene alternative, ci si deve misurare con i servizi e le opportunità di cura offerte dalle carceri. Da qui parte la riflessione sulla condizione dei cittadini detenuti nelle carceri della Repubblica. Lo stato attuale è talmente drammatico e disumano, specie in relazione al sovraffollamento, che le considerazioni che seguono possono apparire astratte. Tuttavia, facendo uno sforzo, non potremo che pensare ad una Giustizia che abbia ridotto al minimo possibile le pene detentive per tutti i cittadini autori di reato. E anche in questo caso “ottimale” sappiamo che comunque una parte consistente della popolazione carceraria soffre di disturbi mentali, il che ci obbliga a considerare quali livelli di complessità del servizio di assistenza psichiatrica possiamo/dobbiamo garantire. Qui si apre uno spazio di lavoro enorme intorno al tema del diritto alla salute (mentale) in carcere e dei servizi correlati, da garantire universalmente, un tema che spero diventi il centro della discussione e della proposta per la chiusura degli opg. A tale riguardo si dovrà vedere che cosa sono in grado di mettere in campo da subito le Regioni, titolari dell’assistenza sanitaria con le loro Aziende sanitarie e i loro Dipartimenti di salute mentale, nonché l’Amministrazione penitenziaria.
Alla luce di queste considerazioni, per la complessità dei meccanismi e delle regole da modificare e non solo per l’indifferenza e l’ignavia della politica, sono comprensibili le inadempienze e i ritardi accumulati nell’attuazione del programma indicato dal Dpcm 1 aprile 2008.
Intanto, da subito, il Ministero della salute d’intesa con le Regioni, potrebbe riconoscere, premiare, anche economicamente, quelle aziende sanitarie e quei Dipartimenti di salute mentale che si facciano carico dei propri pazienti internati in opg, che si rendano disponibili a garantire misure alternative all’internamento, che sviluppino progetti di intervento nelle carceri per la salute della popolazione dei detenuti, in collaborazione con l’Amministrazione penitenziaria.
Potrebbe essere il segno dell’interesse dello Stato a mettere mano alla complicata, faticosa vicenda della chiusura degli opg.
 

Lo scandalo degli OPG

 di Maria Grazia Giannichedda su “il manifesto” del 15/06/2011

Solo la Commissione d'inchiesta sul servizio sanitario nazionale e i Presidenti della Repubblica e del Senato avevano visto integralmente il filmato di mezz'ora che il 9 giugno ha aperto il convegno sugli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) ed è rimbalzato in quasi tutti i telegiornali della sera. Corpi sformati, persone disperate, spazi angusti, gabinetti rotti, letti di contenzione, storie di soprusi e violenza, non raramente di morte fisica, sempre di incuria e morte civile: le visite a sorpresa negli Opg, effettuate nei mesi scorsi dalla Commissione presieduta da Ignazio Marino, hanno documentato una situazione atroce e nota. Infatti c'era tensione palpabile ma nessuna sorpresa nel pubblico convocato a Palazzo Giustiniani, un centinaio di addetti ai lavori tra responsabili sanitari e penitenziari degli Opg, giudici di sorveglianza, dirigenti di dipartimenti di salute mentale e dell'amministrazione penitenziaria, esponenti di quel mondo associativo che da decenni presidia la questione Opg e da qualche mese ha aperto una nuova campagna per l'abolizione di questi istituti (www.stopopg.it).

 

Alla fine del lungo dibattito, un'ovvia unanimità su alcuni punti: chiudere questi Opg, intervenire sui canali che li alimentano, utilizzare gli strumenti giuridici e le risorse da tempo disponibili per ricollocare all'esterno la gran parte delle persone internate e prendersi cura di loro. Era però assai difficile allontanare la sensazione che oggi nessuna autorità, dai ministri di sanità e giustizia agli assessori regionali (tutti assenti), abbia la volontà e la forza di rendere meno intollerabile, nel nostro paese, la distanza tra ciò che le leggi consentono e prescrivono e ciò che le istituzioni pubbliche fanno e non fanno. Per questo è così importante far uscire la questione Opg dalle stanze degli addetti e includerla nell'agenda che i cittadini devono costruire sia per cambiare il governo che per cambiare la cultura di gran parte della classe politica su questioni che riguardano le libertà di tutti e i fondamenti della democrazia anche se toccano gruppi ristretti e istituzioni marginali.

Gli opg sono sei (a Castiglione delle Siviere, vicino a Mantova, Reggio Emilia, Montelupo Fiorentino, Aversa, Napoli e Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina) e ci sono più di 1500 persone internate. Mai negli ultimi trent'anni era stata raggiunta questa cifra, anzi per tutti gli anni'90 gli internati erano stati meno di 1000. La crescita attuale è l'esito di diversi fattori: nasce certo dalle politiche recenti di crescita della carcerazione da un lato e impoverimento dei servizi sanitari e sociali dall'altro, ma è anche il frutto dell'aver lasciato a se stesso, com'è nel costume politico italiano, il processo di riforma degli Opg messo in opera sia dalla Corte Costituzionale che da diversi decreti di attuazione delle norme sul Servizio sanitario nazionale. Con una ventina di sentenze emesse in gran parte dopo la legge 180, la Consulta ha infatti cancellato alcuni degli automatismi più aberranti del Codice Rocco che nel 1932 aveva disegnato gli Opg, è intervenuta sui canali di alimentazione di questi istituti e sui meccanismi di uscita. Queste sentenze, insieme alla legge 180 e alle norme sul passaggio della sanità penitenziaria al Servizio sanitario nazionale, hanno creato da tempo le condizioni per ridurre i nuovi ingressi e portare a poche centinaia il numero degli internati. Invece gli internati crescono, e le aberrazioni giuridiche continuano anche quando la legge consente di evitarle.

Un esempio: 380 internati sono trattenuti illegalmente. Si tratta di persone che hanno concluso la misura di sicurezza e sono state dichiarate non più «pericolose», eppure il giudice rinnova la misura perché i servizi di salute mentale non vogliono o dicono che non possono prendersi cura di questi loro cittadini, oppure non rispondono alla lettera del magistrato, il quale pigramente rinnova la misura. Il Comitato Stop Opg ha chiesto di conoscere la geografia di questi internamenti illegali per poter contattare le Asl, offrire collaborazione e suggerire le modalità di accesso ai fondi, che la metà delle regioni neppure hanno chiesto, per costruire progetti individualizzati di riabilitazione.
Altro esempio. Oltre la metà degli internati ha commesso «reati bagatellari», - alterchi, minacce, piccoli danneggiamenti - che implicherebbero pene inferiori ai due anni e sono stati perciò condannati alla misura di sicurezza di durata più bassa, cioè due anni (all'opposto, a meno del 20% degli internati è stata inflitta la misura di durata più alta in quanto autori di reati gravi come l'omicidio). Dunque una buona metà degli internati, senza il giudizio di non imputabilità, avrebbe probabilmente avuto una carcerazione più breve. Questa è certo una scandalosa iniquità del codice penale, ma la Corte Costituzionale è intervenuta più volte su questo punto, l'ultima nel 2003 quando ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 222 del codice penale «nella parte in cui non consente al giudice di adottare, in luogo del ricovero in Opg, una diversa misura di sicurezza prevista dalla legge, idonea ad assicurare adeguate cure dell'infermo di mente e a far fronte alla sua pericolosità sociale». Questa sentenza chiarisce anche che la misura di sicurezza può essere «la libertà vigilata accompagnata dalla prescrizione di un rapporto stabile e continuativo con il servizio psichiatrico territoriale».

 

Quanta parte degli internati attuali avrebbe potuto evitare l'Opg se i servizi di salute mentale, i giudici di sorveglianza, i poliziotti e i magistrati si fossero messi a lavorare insieme, caso per caso, utilizzando, come si fa in alcune Asl e regioni, le leggi e le risorse esistenti? Bisogna ricominciare a chiedere conto dei «crimini di pace», come li chiamava Franco Basaglia, che oggi fanno più rabbia perché sappiamo cos'altro si potrebbe fare e invece ci ritroviamo a essere ancora testimoni dell'illegalità, della violenza e della morte amministrate dalle istituzioni democratiche in nome della cura e della protezione.
Una questione, a questo punto, sulla politica e sulla sua capacità di produrre e governare innovazioni istituzionali orientate al rispetto dei diritti. Abbiamo avuto una riforma, la 180, criticata in quanto non graduale, «violenta», nella scelta di chiudere il manicomio. Abbiamo sotto gli occhi il processo graduale che ha riformato gli Opg. Ma in un caso e nell'altro abbiamo una politica che poco o nulla ha fatto per promuovere il riorientamento delle istituzioni sulle nuove norme e per scoraggiare la persistenza delle vecchie attitudini e di comportamenti ai margini della legalità. Avrà ben poco esito una riforma organica degli Opg se la politica non saprà riformarsi.

Report Convegno al Senato sugli Ospedali Psichiatrici Giudiziari

10-06-2011. Si è svolto ieri 9 giugno il convegno sugli OPG, organizzato dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio Sanitario Nazionale presieduta dal senatore Ignazio Marino, al quale è intervenuto anche il Presidente del Senato Renato Schifani.

E’ stato proiettato il video (nella sconvolgente versione integrale), che testimonia le drammatiche condizioni di vita all’interno degli OPG, girato in occasione delle ispezioni senza preavviso compiute dalla Commissione.

Quindi, dopo gli interventi del Senatore Marino e della Senatrice Poretti, sono stati rappresentati i diversi “punti di vista”, con gli interventi di operatori degli OPG, Magistratura di sorveglianza, Amministrazione Penitenziaria, Ministero della Salute, Dipartimenti di Salute Mentale, Comunità terapeutiche, “Società civile”. Il convegno è stato concluso dai Senatori Bosoni e Saccomanno, incaricati di redigere la relazione conclusiva della Commissione parlamentare sulla situazione degli OPG e della salute mentale nel nostro paese

Hanno partecipato anche diverse organizzazioni promotrici di “stop opg” , che hanno rappresentato con forza le ragioni e le proposte per l’abolizione degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari..

In  particolare, sono intervenuti: Stefano Cecconi (CGIL), Giovanna Del Giudice (Forum salute mentale), Bruno Benigni (Forum Salute e Carcere), Franco Corleone (Garanti territoriali dei detenuti) Maria Grazia Giannichedda (Fondazione Basaglia ), Girolamo Digilio (Unasam),Dario Stefano Del'Aquila (Antigone), Giorgio Bignami (Forum Droghe), don Giuseppe Insana. Hanno tutti ribadito che le condizioni inaccettabili cui sono costretti nostri concittadini in simili strutture, e le condizioni drammatiche in cui devono lavorare gli operatori, impongono di agire con la massima urgenza. E che non basta dichiarare di voler chiudere gli OPG: bisogna costruire misure di assistenza alternative e intervenire anche sulle drammatiche condizioni delle carceri, dove va completato il trasferimento dell’assistenza sanitaria al Servizio Sanitario Nazionale. Anche le pratiche positive, che alcune realtà offrono agli internati percorsi di assistenza e di inserimento sociale alternativi all’OPG - e per migliorare le condizioni di vita al loro interno – devono avere come sbocco l’abolizione di questo istituto. Il nostro obbiettivo non è ottenere “un buon OPG”. Proprio ciò che sta accadendo conferma l’urgenza di porre fine all’esperienza di queste strutture, destinate a riprodurre - per la loro natura - disagio, sofferenza e devianza. Gli OPG vanno aboliti, perché sono una risposta sbagliata e incivile, come lo erano i manicomi.

Infine, le organizzazioni di “stop opg” hanno chiesto alla Commissione d’inchiesta di mantenere aperto il confronto e di coinvolgere Governo, Regioni e Comuni, per definire una “road map” per l’attuazione delle norme (e delle sentenze della Corte Costituzionale) che già prevedono il superamento degli OPG nel nostro paese, come ideale completamento della Riforma Basaglia. 

 

OPG Barcellona: oggi il convegno Cgil alla presenza dell`assessore regionale alla sanità

 

Come affrontare la svolta. Opg "Madia" Tempo scaduto ma la Regione non risponde

Gazzetta del Sud - 31 maggio 2011
BARCELLONA, La questione si trascina da tempo, ma deve necessariamente trovare una soluzione.
Parliamo della chiusura degli Ospedali psichiatrici con il passaggio dell` assistenza sanitaria alla Regione e del problema della sistemazione degli internati che potrebbero essere dimessi ma che nessuno vuole.

All`Opgi di Barcellona si aggiunge la diversa utilizzazione che deve essere fatta della della struttura, alla quale è legata la serenità dei tanti addetti, dalla polizia penitenziaria al personale medico.
Non a caso "Stop Opg", la campagna per l`abolizione degli ospedali psichiatrici giudiziari, promossa da 24 associazioni tra cui la Cgil, approda oggi dalle 9,30 al teatro dell`Opg di Barcellona.

L`iniziativa che prevede un convegno, seguito da una tavola rotonda alla quale parteciperà l`assessore alla Sanità Massimo Russo, è promossa da Cgil Sicilia, Funzione pubblica e Camera del lavoro di Messina. La giornata di lavoro è stata preceduta da un incontro svoltosi al ministero della Salute nel corso del quale è stato fatto il punto sul percorso e sull`applicazione delle norme per il superamento degli Opg, punti sui quali entro giugno ogni regione dovrà presentare una relazione sullo stato di attuazione. «In Sicilia - dice Elvira Morana, della segreteria regionale Cgil - siamo in presenza di una struttura sovraffollata con continuo aumento di presenze provenienti anche da altre regioni, funzionale solo a riprodurre disagio e sofferenza.
Ci sono anche internati dichiarati "dimissibili", ma che restano nell`Opg perchè nessuna struttura competente se ne fa carico».
Dall`iniziativa di oggi partirà dunque «un appello alla regione ad adoperarsi per rimuovere gli ostacoli alle dimissioni degli internati giudicati dimissibili e a recepire le norme che dispongono il trasferimento dell`assistenza sanitaria dalla medicina penitenziaria al servizio sanitario nazionale, chiudendo l`ospedale giudiziario di Barcellona». Il dibattito di stamani presieduto dal segretario della Camera del lavoro di Messina, Lillo Oceano, si aprirà con la relazione di Elvira Morana, segretaria regionale Cgil e sarà concluso da Stefano Cecconi, responsabile sanità della Cgil nazionale.
Saranno proiettati video sugli Opg e presentate testimonianze.
Nell`ambito dell`iniziativa si terrà una tavola rotonda coordinata da Francesco Gervasi, responsabile del dipartimento Salute della Cgil Sicilia, alla quale parteciperanno l`assessore regionale alla salute, Massimo Russo; la segretaria nazionale della Funzione pubblica, Rossana Dettori; la segretaria generale della Cgil Sicilia, Mariella Maggio; il direttore sanitario dell`Opg di Barcellona, Nunziante Rosania; l`assessore alle politiche sociali del comune di Barcellona, Santi Calderone. Inoltre, GiovannaDel Giudice, del Forum nazionale salute mentale; Giovanni Fiandaca, dell`Università di Palermo; Giuseppe Greco, presidente di Cittadinanza attiva; padre Giuseppe Insana, cappellano dell`Opg; Gaspare Motta, del dipartimento di salute mentale di Messina".

«Con i vertici regionali ci con- Rosania auspica la riconversione dell`Opg con garanzie per il personale fronteremo sui tempi e le modalità del transito dell`assistenza sanitaria alla Sanità regionale - ha dichiarato alla "Gazzetta" il direttore del Madia Nunziante Rosania - Si tratta del primo fondamentale passo per avviare un percorso di superamento dell`Opg, ormai invivibile, e al contempo rasserenare il personale, che vive una situazione di grande incertezza e difficoltà. Al contempo si dovrà ragionare sulla riconversione della struttura sempre in ambito penitenziario. 

Incontro tra Comitato “STOP OPG” e Ministero della Salute del 25 maggio 2011

Si  è svolto il 25 maggio, come previsto, l’incontro al Ministero della Salute sugli Ospedali Psichiatrici Giudiziari.

Per “stop opg” era presente una delegazione composta da Stefano Cecconi, Leda Colombini, Giovanna Del Giudice, Francesca Moccia e Fabrizio Rossetti; per il Ministero della Salute il capo dipartimento Fabrizio Oleari e Guido Vincenzo Ditta, delegati dal Ministro Fazio.

Nel corso dell’incontro è stata illustrata la campagna “stop opg”, a partire dalla piattaforma, sottolineando l’urgenza di intervenire su una situazione ormai insostenibile. I rappresentanti del Ministero hanno descritto la situazione relativa all’applicazione delle norme che dispongono il percorso di superamento degli OPG (Dpcm del 2008 (allegato C) e Accordo Stato Regioni del 2009). In particolare è stato segnalato che entro giugno ogni regione presenterà una relazione sullo stato di attuazione del percorso previsto.

E’ ora previsto un incontro tra il Ministro della Salute Ferruccio Fazio e il Comitato “stop opg”, che verrà preparato nei prossimi giorni, anche con uno scambio di documentazione utile ad individuare temi e priorità da affrontare.

Nel frattempo il Comitato “stop opg” solleciterà la convocazione degli incontri richiesti anche al Ministro della Giustizia e al Presidente della Conferenza delle Regioni.

Comitato “stop opg”

Corriere della Sera 11 05 2011

 

Stop agli ospedali psichiatrici giudiziari, sono uno scandalo

25 associazioni hanno promosso una campagna per la loro chiusura, a 33 anni dalla legge Basaglia

«Gli ospedali psichiatrici giudiziari vanno chiusi e subito». Lo chiedono 25 associazioni – cui man mano se ne stanno aggiungendo altre – che hanno promosso la Campagna «Stop Opg» (per non far cadere nell’oblio le condizioni disumane di chi ancora vi è recluso, denunciate anche dalla Commissione parlamentare di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio sanitario nazionale. L’estate scorsa, infatti, alcuni suoi membri e il presidente Ignazio Marino avevano effettuato un sopralluogo a sorpresa negli Opg e girato immagini shock, diffuse circa un mese fa.

CONDIZIONI DISUMANE - I parlamentari avevano trovato un vero e proprio inferno: celle di contenzione, ambienti fatiscenti e spazi angusti per i detenuti, sporcizia dappertutto. E poi: un uomo legato a un letto con un foro in corrispondenza del bacino per i bisogni; un altro, di proroga in proroga, “dentro” da 25 anni; un’altra persona immobile a letto da cinque giorni, senza neppure un campanello per richiamare l'attenzione degli operatori. In queste strutture sembra che non sia mai arrivata la legge “Basaglia”, a 33 anni dalla sua entrata in vigore, il 13 maggio 1978. «Sono persone malate e hanno diritto a essere curate», chiosa Marino. Oggi sono circa 1.400 le persone recluse negli Opg, un centinaio in più rispetto al 2007. Eppure nel 2008 era stato emanato un Decreto della presidenza del consiglio dei ministri che prevedeva il trasferimento della sanità penitenziaria dal ministero della Giustizia a quello della Salute, quindi percorsi alternativi per la presa in carico dei pazienti.

INTERNATI - A fine 2009 è stato fatto un elenco numerico di 300 pazienti “dimissibili”, perché hanno finito di scontare la pena e non sono più socialmente pericolosi. Ma sono ancora dentro.  «Più di 350 internati potrebbero uscire subito: dovrebbero essere accolti in strutture adatte grazie a progetti individualizzati di cura e reinserimento», sottolinea Stefano Cecconi, uno dei promotori della campagna - . Uno di loro nei giorni scorsi si è suicidato nell’Opg di Aversa, dopo otto anni di reclusione. «Dobbiamo restituire loro la cittadinanza, un nome, una casa – continua Cecconi - . Regioni e Asl devono prevedere programmi per il loro reinserimento e strutture esterne di accoglienza. Intendiamo monitorare quelle inadempienti». 

NESSUN ALIBI - «Non si può più dire che non ci sono i fondi per farli uscire – incalza Marino - . Il ministro della Salute Ferruccio Fazio ha comunicato che è partita l’erogazione delle risorse promesse per agevolare l’assistenza sul territorio dei pazienti che possono essere dimessi. Dei 5 milioni stanziati, però, solo 3 milioni e 400mila sono stati effettivamente erogati alle Regioni». I motivi? Spiega il presidente della commissione d’inchiesta: «Solo alcune ne hanno fatto richiesta  presentando dei progetti di assistenza. Il Lazio non l’ha fatto, pur avendo 41 cittadini che hanno il diritto di lasciare gli Opg. E non hanno richiesto i fondi nemmeno la Liguria che ha 11 cittadini da accogliere, l’Abruzzo che ne aspetta 6, la Campania dove dovrebbero tornare 75 internati, la Calabria e la Sicilia che devono riaccogliere rispettivamente 11 e 31 persone, il Friuli Venezia Giulia che ne aspetta 7. Questa evidente mancanza di cooperazione va fermata al più presto», conclude Marino. 

VISSUTO DI SOFFERENZA - A dare voce al tormento interiore di chi soffre di una malattia mentale è un recente libro-testimonianza di Giovanna Altobel, «Il rumore dell'anima» (edito da Albatros). Una storia di denuncia, dopo la legge 180 e la difficile trasformazione dei reparti psichiatrici, ma anche di speranza. «Ho deciso di scrivere questo libro per rielaborare un mio momento di sofferenza vissuto con una persona spenta nel nulla della malattia mentale – racconta Altobel - . Mi sono ispirata a un uomo che frequentava un centro di salute mentale vicino casa mia e mi chiedeva sempre 100 lire: come se fosse rimasto indietro nel tempo, a quando non era malato».

 

 GUARIRE DAI PREGIUDIZI - «Anche se sei guarito continui a essere discriminato e gli altri ti guardano con diffidenza – sottolinea l’autrice del libro - . Nei centri di salute mentale non esiste più la contenzione fisica della camicia di forza o dell’elettroshock, ma spesso sono i farmaci a “legarti”. Le leggi non bastano – conclude Altobelli - . La differenza la fanno le persone e gli operatori».

Maria Giovanna Faiella
11 maggio 2011

 

Nasce "Stop OPG" SARDEGNA

Si è costituito il "Comitato Sardo a sostegno della Campagna Nazionale "StopOPG".

Si è costituito il "Comitato Sardo a sostegno della Campagna Nazionale "StopOPG".
Ne fanno parte per il momento: Forum Sardo Salute Mentale, CGIL Sarda, l'Associazione Sarda per l'attuazione della Riforma Psichiatrica, l'Associazione 5 Novembre, Cittadinanzattiva, Tribunale per i Diritti del Malato, SOS Sanità Sardegna, l'Associazione culturale e di promozione sociale Art Meeting, la Cooperativa Sociale i Girasoli, la Cooperativa Sociale Asarp Uno.

Il 6 giugno a Cagliari la Conferenza Stampa di presentazione  

SIT IN ad AVERSA: dopo il sit-in davanti all'Opg il comitato incontra la direzione. L'unica soluzione è la chiusura delle strutture

Comunicato stampa del Comitato “Stop Opg”

La manifestazione promossa oggi dal comitato StopOpg davanti all'ospedale giudiziario di Aversa ha ribadito l'urgenza di accelerare la chiusura di queste strutture, che, per loro natura, sono luoghi di sofferenza e persino morte.

Durante la mattinata una delegazione del comitato promotore ha incontrato la direzione dell'Opg. L'incontro ha evidenziato come, nonostante gli sforzi che pure si sono compiuti grazie al lavoro di tanti operatori, per offrire assistenza e inserimento sociale alternativi all'opg e per migliorarne le condizioni di vita interne, la vera soluzione sia la loro chiusura definitiva. Perché, come i manicomi, sono una risposta sbagliata e incivile ad un bisogno di cure. In particolare l'incontro ha evidenziato i ritardi con cui le regioni da cui provengono i cittadini internati (ad Aversa circa 1/3 sono campani, i restanti 2/3 residenti in altre regioni) stanno organizzando la presa in carico. E ciò chiama in causa direttamente i Dipartimenti di Salute Mentale e il bisogno di un loro potenziamento. Altrettanto importante è fermare l'ingresso o il rientro in Opg che viene disposto dalla magistratura. Ciò è possibile attivando misure alternative di assistenza, così come indicano chiaramente le sentenze della Corte Costituzionale. Il comitato StopOpg ribadisce, quindi, la richiesta di un piano straordinario di interventi da parte di Governo e Regioni, compresa la nomina di commissari ad acta per la chiusura degli Opg, rafforzando e diffondendo le buone pratiche di assistenza alternativa all'internamento.

Roma, 17 Maggio 2011

 

per informazioni: info@stopopg.it

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